ZORAMA, IL SUONO DEL VENTO




Pochi giorni a Natale. Oggi Napoli ha un cielo nascosto da vetro e acciaio in Galleria Umberto. Un castello di travi scherma il salotto della città. Zorama arriva silenzioso e sorridente, si siede con la ragazza al tavolino. Dietro di lui niente presepe ne' albero. Solo un immenso cantiere che assomiglia a un presagio di Napoli futura. Una città asfittica, che troppo spesso lascia i giovani dietro le finestre, a sperare.

E infatti Zorama guarda proprio verso l'alto e lo dice.

Sono consapevole che dietro le finestre che ci spiano dall’alto possa nascondersi qualche talento straordinario che non viene fuori per timidezza o per educazione familiare.

Ma lui questa consapevolezza l'ha raggiunta, nonostante il rapporto con le origini sia ricco di sfumature e contraddizioni.

Non mi sento musicalmente legato alla vera melodia Made in Naples. Mi sento figlio di Napoli, ma musicalmente non ho mai ascoltato troppo in napoletano, se non cose molto antiche (Caruso, Carosone, Di Giacomo, Totò). Parafrasando Rino Gaetano, mi sento “figlio unico” di Napoli, uno dei suoi tanti “figli unici”. Background e vissuto non mi hanno mai dato l’approccio viscerale con la città, che altri come Osanna, Gragnaniello, Cercola hanno. Mi sento quasi ridicolo a parlare in dialetto.



Il discorso scivola su un luogo lontano, apparentemente opposto nell'immaginario al confuso e caldo Mediterraneo di Napoli: la Finlandia, dove Zorama è molto apprezzato.

Helsinki ha saputo darmi opportunità e consacrazioni che Napoli non mi ha dato, ridandomi lo spunto compositivo perso. Napoli è satura, piena di un’identità musicale che mi appartiene poco. Tramite un amico napoletano in Finlandia, dal 2001 ho conosciuto questa realtà. Tutto è nato da un concerto nel suo locale. Mi notarono degli impresari, così feci quattro concerti, a Kerkonkoski, Helsinki, Kuopio e Savonlinna. Ho ancora qualche manifestino... Tornato in Italia, ecco la prospettiva dell’Accademia di Sanremo, dove su 360 finalisti arrivai tra i primi 60. Beh, poi là dopo sono altri cazzi…

Su quell'intercalare Zorama si ferma a discutere. Le parole hanno un valore. Tutte.

Ho i pensieri a raffica, proprio come il vento: se sto male come un cane, non uso belle parole… dico: “Cazzo, sto proprio male!” Io sono spontaneo e vero. Con tutti, anche con i genitori della mia ragazza. E non sono reputato volgare: se dico cazzo, suona in una maniera o in un'altra a seconda del tono… Le parole sono importanti, ma passano inevitabilmente attraverso dei filtri. E sono felice che a volte questi filtri cadano. Questo però non vuol dire eccedere.

Nello sguardo nasconde una rabbia antica, che esprime nella sua musica.

In “Cerchi e semicerchi”, un giornalista disse che avevo espresso una rabbia emotiva vera, sentita, non cantata. Come se il mio vissuto si fosse espresso in parole e musica, come se quello che ho nelle viscere venisse fuori nelle mie canzoni. Quando scrivo per me non riesco a scrivere a tavolino. Nei miei pezzi non parlo mai di una cosa sola . Voglio lasciare la possibilità a chi mi ascolta di farsi un’idea propria del significato del brano.

Il tema del vento ricorre nelle canzoni e nei gesti di Zò.

È l’elemento che più mi caratterizza; amo il mare, adoro la montagna, mi piace il fuoco di un camino, ma nel vento mi trovo a mio agio: è quasi come un complice, che mi spinge a OSARE. E anche quando vado controvento, è proprio il vento a dirmi che sto sbagliando strada.

Ma i rumori della città porosa irrompono. Si gira. Poi torna a parlare, quasi con rassegnazione.

Per questo ho preso un monolocale a Sirignano. In Irpinia, cioè quasi in Irlanda. Le volte che non suono e non vivo il caos dei night e dei pub, mi piace rifugiarmi, e starmene in silenzio. Sfuggo i luoghi frequentati, mi piace mangiare bene, bere del buon vino, possibilmente rosso: Nero d’Avola, Chianti, o un Cabernet Sauvignon.

Musica rarefatta, essenziale quella del nostro cantautore. Ma l’accenno al vino riporta alla terra. E all’idea che anche un piatto possa assomigliare a una canzone. Zorama ha le idee molto chiare.

Scialatielli con crema di porcini, funghi porcini e una spolverata di tartufo, da mangiare in certe trattorie dell’Avellinese e del Beneventano, dove si mangia e si beve bene. Come “La Taverna del Gusto”, a Sirignano, dove Pasquale, chef e proprietario di 22 anni, la fa da padrone.

Gli chiediamo cosa prova un ragazzo semplice e in fondo timido come lui a cantare in piazza, tra la gente. La risposta è sorprendente.

Allo stesso tempo un senso di solitudine e onnipotenza. Solitudine perché la maggior parte di chi è in piazza se ne frega di chi sei, di cosa suoni. Ti senti solo, in mezzo a migliaia di loro. Ma al primo giro di chitarra divento Zorama: mi si materializza un mantello con i superpoteri, e mi sento una rockstar. E in quel momento mi sento, con tutto il rispetto, quasi Gesù Cristo…

Scalpita, ha freddo. Così abbandoniamo la Galleria e dopo le prime foto, completiamo l’intervista a ridosso di Palazzo Reale e Piazza Plebiscito. Al Porto le navi da crociera, le gru, le isole in lontananza, e poi i palazzi su via Acton, il Vesuvio. Non è ancora venuto fuori il discorso sulla nascita del suo nome d’arte. È tempo di sapere.



Io sono Mariano Rongo. Mia madre fa di cognome Zora, Ho preso il suo cognome e a quel cognome ho aggiunto Ma di Mariano. Era uno pseudonimo già dichiarato in SIAE. E ho deciso nel 2000 di farlo divenire il mio nome.

Ci siamo dati una regola. Solo dieci domande. Libere, aperte. Ma abbiamo due curiosità. Sapere se ha una canzone, tra quelle che ha scritto, che ama più di altre, e se ci sono nuovi progetti a cui sta lavorando.

Difficile dirlo. Non ce la faccio! Perché non penso ce ne sia una migliore di un’altra. Posso dirti i tre titoli ai quali sono più legato: “In clandestinità” e “Il tuo arredamento”, perché sono brani – dedica nati molto spontaneamente, nei quali vedo il mio sguardo riflesso, da essere umano innamorato. Il terzo titolo è “Alter Ego”, che descrive il contrasto delle mie due anime, nel duello tra me e il mio ego, quasi un mio termometro esistenziale. Poi ci metterei “Frequento il vento”: non posso farne a meno, mi rispecchia molto . È la canzone manifesto del mio vivere.

Il cielo è blu cobalto, una delle poche ricchezze che a Napoli nessuno può sottrarre. E le canzoni che raccontano Zorama sappiamo che ora sono almeno quattro. Fa sempre più freddo, si parla camminando lungo la grande piazza.



Sto preparando un nuovo disco, ma non sarà più un concept album. È un lavoro più variegato, con alcune cover, e brani miei nuovi; vorrei e dovrei proseguire la collaborazione con i Lost Dream. Tra le cover ci sarà il De Andrè de “La Guerra di Piero”, i Muse, e altri. E poi, una cover di Aldo Granese, un cantautore di Avella che a mio avviso ha scritto uno dei brani più invidiabili degli ultimi dieci anni: “Il Diavolo nero”. Sto organizzando un festival cantautorale a Sirignano, in provincia di Avellino, in giugno. Ah, e poi una cosa, quest’estate in Finlandia, una cosa importante, che non dico per scaramanzia.

L’artista abbraccia con dolcezza la sua ragazza, saluta, e torna a frequentare il vento.

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